Da Triesteallnews del 22 marzo 2019

“La Slovenia ha già firmato con la Cina, nel 2018, un memorandum d’intesa analogo a quello con l’Italia al centro dell’attenzione in questi giorni, e in particolare per quanto riguarda il sistema portuale dell’Adriatico orientale e la portualità di Trieste, il porto di Capodistria è già pronto, da un punto di vista perlomeno formale, a subentrare all’Italia nel caso di una mancata intesa”. Così Claudio Giacomelli, ed è il punto centrale dell’incontro di Fratelli d’Italia Trieste con la stampa in merito alla “Nuova Via della Seta”.

Il memorandum fra Cina e Slovenia riguarda in maniera specifica la “Belt & Road Initiative”, o “Nuova Via della Seta”, e ha candidato il porto di Capodistria come centro di connessione tra la Cina e i due corridoi – quello Mediterraneo e quello Alpino Balcanico – che interessano l’Alto Adriatico. Come riportato fra gli altri da “Il Sole 24 Ore” in occasione della visita del presidente Xi Jinping di questi giorni, il MoU (Memorandum of Understanding) comprende anche le intese tra la CCCC (“China Communications Construction Company”), società ramo operativo del governo cinese incaricata delle realizzazione delle infrastrutture strategiche, e i due primari porti italiani di Genova e Trieste. “Mi chiedo”, ha detto Claudio Giacomelli, “dove fossero un anno fa l’Europa e gli Stati Uniti, oggi così impegnati a criticare l’Italia, mentre la Slovenia firmava l’accordo nel silenzio di tutti. Il ‘non fare niente’, con un mancato accordo con la Cina per il sistema portuale di Trieste che è tuttora il porto più attraente grazie alla sua sviluppata rete di infrastrutture e di collegamenti ferroviari, avrebbe una immediata e diretta implicazione: Trieste, nei confronti della presenza cinese, avrebbe gli stessi rischi degli sloveni, vista l’immediata vicinanza, ma non avrebbe nessun vantaggio”.

“L’ipotesi di accordo tra Italia e Cina, a livello nazionale”, ha spiegato Nicole Matteoni, “è un argomento estremamente importante e un tema molto complesso. È per questo che Fratelli d’Italia non ha voluto fare dichiarazioni prima di aver studiato con cura l’argomento e le sue ripercussioni. Su questo tema non è possibile fare nessuna semplificazione: non si possono avere posizioni ideologiche preconcette. Ma una cosa”, ha continuato Matteoni, “sono gli scenari geopolitici internazionali, una cosa diversa è cercare di non perdere posizioni commerciali e competitività come sistema regione Friuli Venezia Giulia”. La previsione di accordo non prevede un controllo dei moli triestini da parte della Cina ma un intervento di CCCC sull’infrastruttura ferroviaria che consente, come contropartita, all’Autorità di sistema del Mare Adriatico Orientale, presieduta da Zeno D’Agostino, assieme alla partecipata Interporto Trieste, di ottenere delle partecipazioni a progetti in Slovacchia e in Cina.

Nessun rischio, quindi, di colonizzazione cinese neppure secondo “Fratelli d’Italia”, a fronte di una situazione nella quale il sistema portuale italiano è controllato dallo Stato, le condizioni di lavoro nel porto di Trieste sono garantite dall’apposita agenzia ora esistente, e il traffico, con eventuale prelavorazione e attività manifatturiere in regime extradoganale, del Punto Franco riguarda merci che arrivano da paesi extra UE e sono dirette a paesi extra UE.

Per “Fratelli d’Italia” la posizione è chiara: gli interessi nazionali vanno difesi, e in particolare è necessario discutere il memorandum d’intesa in Parlamento, ma è necessario farlo con realismo. Come hanno spiegato Giacomelli e Matteoni, l’attenzione va concentrata su due punti, entrambi molto importanti: la necessità di esplorare meglio, comprendere e approfondire temi strategici di rilevanza nazionale come quello delle comunicazioni e del 5G, che implicano una forte penetrazione tecnologica cinese in Italia e in Europa, e la necessità per il Friuli Venezia Giulia e per Trieste, in un ‘sistema regione’, di non perdere competitività e posizioni commerciali nei confronti della concorrenza più diretta, come quella con la Slovenia o, sul lato orientale, la Francia. “La Nuova Via della Seta è fatta in realtà da diverse ‘vie della seta’: tre rotte terrestri primarie che creano sei corridoi, alle quali si sommano due rotte marittime. La Cina ha avviato questo progetto, che coinvolge 68 paesi ed è il più grande nella storia, nel 2013, con uno stanziamento iniziale di 40 miliardi di dollari al quale ne è seguito rapidamente uno di altri 100; nel 2017, ha inserito lo sviluppo di queste vie commerciali nella sua Costituzione. Un ‘no’ alla partecipazione all’iniziativa non fermerebbe per niente una penetrazione commerciale cinese in Europa: le merci cinesi arrivano già sul mercato occidentale e continueranno a farlo con forza sempre maggiore, a prescindere da quanto deciderà l’Italia. La Cina ha già acquisito quote importanti di capitale in gran parte dei paesi europei: Grecia, Francia, Olanda, Portogallo. E Slovenia”.

“A fronte di questo scenario”, ha concluso Giacomelli, “non possiamo permetterci posizioni preconcette e ostili. Consapevoli di tutti i rischi, che vanno esaminati con attenzione, non possiamo rinunciare: si tratta di più lavoro per i giovani, più traffici commerciali e più benessere per Trieste. Trieste che, forse, fa adesso paura al nord Europa. Questa è la riflessione che ci permettiamo di offrire al dibattito in corso”.

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